Alessandro Galano, scrittore foggiano al suo esordio: “L’uomo che vendette il mondo” è come uno specchio in cui guardarsi

Alessandro Galano, scrittore foggiano al suo esordio: “L’uomo che vendette il mondo” è come uno specchio in cui guardarsi

13 Luglio 2021 0 Di Cristiana Lenoci

Ci sono libri che nascono per caso, da un guizzo, da un episodio, da un momento di vita che resta impresso più di altri. E poi ci sono scrittori che, dentro, lo sono sempre stati, anche prima di pubblicare un libro. E’ il caso di Alessandro Galano, giornalista, docente e responsabile eventi per la libreria “Ubik” di Foggia.

Galano, che tra le altre attività a sostegno della cultura è anche tra i fondatori della testata “Foggia Città Aperta”, è da sempre appassionato di libri, letteratura e scrittura. Il suo vivere e lavorare da anni tra i libri, gli autori e i lettori, gli ha fatto crescere il desiderio di mettersi in gioco come scrittore. L’esordio nel panorama letterario di Alessandro è avvenuto da parte sua con grande umiltà e spirito critico, caratteristiche che non gli sono mai mancate, e che gli restituiscono in toto il favore e la simpatia dei lettori.

Lo abbiamo raggiunto per saperne qualcosa in più del libro “L’uomo che vendette il mondo”, di recente pubblicato e presentato a Foggia (città di origine dello scrittore).

R: Il tuo libro di esordio “L’uomo che vendette il mondo” parla di un sentimento universale, l’amicizia. Ma lo fa in un modo originale e per nulla scontato. Hai ambientato la storia che racconti in una cornice avventurosa e “on the road”. A cosa ti sei ispirato nella narrazione di questa storia in cui tutti possiamo facilmente riconoscerci?

AG: L’ispirazione, in un certo senso, è venuta dopo. Al principio c’è stata una scintilla: la visita, del tutto casuale, di una clinica psichiatrica, avvenuta diversi anni fa. All’epoca ancora non lo sapevo, ma il libro è nato in quel momento, durante una bozza scritta a penna al rientro da quell’esperienza. Da lì poi, ho iniziato a interrogarmi sulla linea di demarcazione che separa i due mondi, quello sano o considerato tale, e quello insano. La vita e la sospensione della vita. E mi sono chiesto: sicuro di essere sempre stato da questa parte? E se ti capitasse? E se capitasse a una persona a te cara, così, all’improvviso? La risposta a queste domande è Alex, l’amico perduto che ritorna nella vita di Santo. Se si vuole, l’ispirazione vera e propria.

R: Il protagonista del libro, Santo Bardi, è un precario di 35 anni in balia degli eventi e senza una stabilità sentimentale. Con lui ci sono altri personaggi, ognuno con la sua storia e la sua personale “disperazione”. Fino a quando la vita cambia improvvisamente, con l’arrivo di una telefonata. L’evento rappresenta una sorta di “rottura” che prelude a sviluppi imprevedibili futuri. Quando e come hai deciso di scrivere una storia del genere? Qual è il guizzo che ti ha dato lo spunto per creare il personaggio principale e tutti gli altri?

AG: Volevo scrivere una storia sui grandi legami, su ciò che resta ben saldo anche a distanza di spazio e di tempo, quando dall’altra parte sembra non esserci più modo per conservare quel legame e invece, quasi in modo innaturale, quello resta, si mantiene vivo, malgrado tutto. Ma volevo anche raccontare una crescita, una ricerca: questo è un romanzo di formazione, anzi di “tarda” formazione, come amo dire. Santo, la voce narrante, è colui che si “forma”: per crearlo mi sono guardato dentro, è bastato quello.

R: Essendo libraio e appassionato di libri, oltre che docente e giornalista, hai avuto modo di esplorare dal di dentro il mondo degli scrittori. Quali sono, secondo te, le criticità del settore per chi vuole pubblicare un libro, e come è possibile superarle? Ad esempio, cosa pensi dello strumento del self-publishing?

AG: Il self-publishing, generalmente, non è editoria: è un tizio che paga per una serie di stampe. La casa editrice che mi ha pubblicato fa parte del Gruppo Utterson, tra i fondatori del circuito No-Eap: “no editoria a pagamento”. Si battono proprio per dare dignità al lavoro editoriale, a dispetto di certe operazioni che scimmiottano questo mondo: si può essere editori anche in piccolo e si può essere seri anche se piccoli.

Discorso a parte è la poesia, quanto meno in Italia: qui, anche editori noti, cercano di sopravvivere chiedendo una compartecipazione agli autori, cedendo loro delle copie allo scopo di sostenersi nell’impresa. È una necessità, purtroppo, dovuta al fatto che si pubblica tantissimo e si legge pochissimo. Nel mio caso è stata importante la figura di un agente: molte case ormai si affidano a loro per una prima scrematura dei manoscritti.

R: Foggia è una città difficile, come tante altre del Sud Italia. Qui però ci sono persone che, come te, hanno scelto di restare e dedicarsi alla cultura e alla sua promozione. In prospettiva credi possa esserci una crescita, uno sviluppo della cultura tra le nuove generazioni?

AG: Se guardo al lavoro che fanno alcuni colleghi insegnanti, mi viene da dire di sì, senz’altro. Non sono molti, ma certi ci credono davvero e riescono a instradare ragazzi e ragazze, portandoli a credere che il mondo della conoscenza sia nettamente più interessante dei social network. Se guardo alla città in sé, alla classe dirigente che l’ha governata di recente (e non solo), allora divento decisamente più pessimista. Foggia è una città stagnante, ma non da oggi, purtroppo, nonostante lo sforzo di una minoranza che crede nella cultura e sa come farla, lavorando anche a ottimi livelli.

R: Ogni scrittore è (quasi) sempre un grande lettore. Qual è il genere letterario che preferisci e come è nata la tua passione per i libri?

AG: Sono partito dal romanzo horror, da piccolissimo, perché ero un avido lettore dei fumetti di Dylan Dog: il merito è di mio fratello Roberto, i fumetti erano i suoi e anche i libri che sono venuti dopo. Un giorno ho fatto quel gesto rivoluzionario, ho posato il dito indice sulla costa di un libro, l’ho tirato fuori e l’ho aperto. Attualmente, non ho un genere letterario di riferimento, piuttosto vado per esclusione: detesto le “storielle”, la narrativa pigra per lettori pigri, la letteratura intesa come intrattenimento, passatempo. Non è un passatempo, è una scoperta, deve esserlo ogni volta. Salinger diceva che la migliore delle trame possibili è sempre una: ragazzo incontra ragazza. Ok, se sei Salinger. Cioè se riesci a dare vita a una scoperta, che nel suo caso spesso è enorme, anche sulla scorta di una trama così apparentemente semplice. Ma noialtri stronzi che scriviamo non siamo Salinger, sarà difficile che lo diventeremo: tocca fare qualcosa in più, dunque, per generare quella scoperta.

R: Nel libro i personaggi vengono descritti con le loro forti contraddizioni e fragilità. Pensi che i lettori si sentano più vicini a personaggi così “fragili”? E perché?

AG: Penso che i lettori si sentano vicini a personaggi credibili, lo dico soprattutto da lettore. E personaggi credibili sono personaggi contraddittori, fragili, spaesati, mai soltanto positivi o soltanto negativi. Devono perdersi nelle loro debolezze, i lettori, ritrovando così le proprie. È un gioco di specchi in cui è bello confondersi.

La copertina del romanzo di esordio di Alessandro Galano