Enzo Ceglie, architetto pugliese: vi racconto la mia partecipazione al progetto “Nudge: l’architettura delle scelte”

Enzo Ceglie, architetto pugliese: vi racconto la mia partecipazione al progetto “Nudge: l’architettura delle scelte”

25 Giugno 2020 0 Di Cristiana Lenoci

Chi pensa che l’architettura sia una disciplina che studia e affronta il mero problema del rapporto dell’uomo con lo spazio che lo circonda, parte da un presupposto errato. Oggi le frontiere dell’architettura sono così vaste che è davvero un piacere esplorarle, anche per chi non è un “addetto ai lavori”. Il web, poi, offre la possibilità a chi si occupa di architettura di sconfinare in spazi e argomenti inediti, grazie alla creatività e all’immaginazione. E  proprio questi so    no gli “ingredienti” alla base del progetto intitolato “Nudge: l’architettura delle scelte” (a cura degli  architetti Massimiliano Cafagna e Maria Alessandra Rutigliano). Si tratta di un  evento espositivo on-line dedicato al tema dei silos granari del porto di Barletta.

Tra i partecipanti a questo interessante progetto vi è un architetto pugliese, originario di Cerignola (Fg), Enzo Ceglie. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua personale e condivisibile idea di architettura, alla luce di queste nuove tendenze che la rendono sempre più una disciplina interattiva e calata nel quotidiano.

R: Come architetto e creativo hai partecipato al progetto ““Nudge: l’architettura delle scelte” (a cura degli architetti Massimiliano Cafagna e Maria Alessandra Rutigliano). Guardando la tua opera e quella degli altri partecipanti ho colto una sorta di dimensione onirica dell’architettura. Un maggiore spazio all’immaginazione, secondo te, è auspicabile per ridisegnare spazi artistici e urbani?

EC: Intanto concedimi di ringraziare i curatori dell’evento, gli architetti Massimiliano Cafagna e Maria Alessandra Rutigliano, per avermi invitato ad offrire un contributo al dibattito e, prima ancora, per averlo animato. La dimensione complessiva che si coglie passando in rassegna gli elaborati della mostra è evidentemente una dimensione quasi completamente slegata dalla produzione ordinaria delle cose dell’architettura, essendo frutto, in molti casi, di un’attività parallela al mestiere di architetto, un’attività più ludica, riflessiva e di ricerca sperimentale, connessa ad un bisogno di ordine, diciamo così, più immateriale.

Di fronte ad un problema di natura progettuale, noi architetti, generalmente, ci poniamo la seguente domanda: “cosa è, cosa può diventare?”, attiviamo l’immaginazione e prendiamo ad indagare quella forma incompiuta e primordiale che è l’origine del processo creativo.

Talvolta, come in questo caso, esercitiamo questa creatività anche prescindendo dal mestiere quotidiano

dell’architetto ed avvertiamo l’esigenza di affiancare altre forme parallele di sperimentazione, legate ad un bisogno personale, istintivo, quasi liberatorio, di ricerca solitaria, da non dover necessariamente sottoporre al vaglio di una committenza, come normalmente avviene facendo questo mestiere. Come in tanta poesia le parole non sono usate per descrivere, ma per creare visioni collegate con il ritmo del linguaggio, così gli elementi architettonici che compaiono in queste immagini non rimandano in prima istanza a funzioni specifiche. Essi si propongono nel loro valore intrinseco, capace di innestare reazioni emotive, e soprattutto quella curiosità che è la principale matrice dell’apprendimento e della creatività, senza legami di necessità con una specifica funzione da soddisfare. La finalità di questo tipo di produzione è probabilmente da ricercare nella focalizzazione di tutti quegli aspetti che, al di là della materia, innervano, rendendola comunicativa, l’opera architettonica, perché ritengo  che il saper vedere sia condizione preparatoria del saper fare e che, pertanto, nel nostro mestiere, affinché si possa essere in grado di incidere con idee di qualità, sia necessario un costante esercizio educativo dei sensi alla visione.

R: Quanto conta, secondo te, l’elemento psicologico e l’empatia nella professione che svolgi?

EC: Quando pensiamo all’architetto immediatamente pensiamo a colui che affronta il problema dell’abitare, un problema che è all’origine dell’essere-nel-mondo dell’uomo, un argomento che ha le sue radici nel nucleo essenziale dell’antropologia: il rapporto dell’uomo con lo spazio, l’ambiente, il luogo che lo circonda. Tutte le categorie astratte dell’uomo, dall’immaginario alla logica, e le conoscenze sensitive ed empiriche, concorrono alla comprensione dello spazio-tempo dell’abitare. La rilevanza del ruolo dell’architetto, di mediatore ed interprete del rapporto uomo-ambiente in tutta la pluralità di significati, lo rende un umanista, una figura professionale che tende ad unire, nella sua attività, teoria e poesia, una persona che opera nel mondo con la ragione e con il cuore per la comprensione dei veri bisogni dell’uomo.

R: Ci descriveresti l’opera con la quale hai partecipato a questa interessante iniziativa?

EC: Ho intravisto in questo scatto l’immagine struggente del gigante ferito dalla indifferenza di quanti non riescono a coglierne la bellezza e la necessità, quel grado di necessità che oltrepassa il concetto di utilità per affermarsi oltre. Sono estremamente convinto che, al pari del poeta, l’architetto all’interno della sua opera, metta in scena un pensiero, attraverso l’uso degli strumenti e delle tecniche del proprio mestiere, e che la poesia in architettura rappresenti l’aspetto espressivo e comunicativo, riguardando tutti quei lati belli e nobili che ispirano alti pensieri e commuovono il cuore e l’immaginazione. Pertanto, attraverso la visione poetica del gigante di cemento e ferro che, nell’attesa di conoscere il proprio destino, dichiara l’amore che lo lega al mare, ho voluto consegnare, alla Città di Barletta, una poesia in forma di architettura, una suggestione, una visione che spero porti con sé il seme di una riflessione, per una scelta possibilmente condivisa: quell’aspirazione a desiderare di custodire un luogo che, ritengo, possa appartenere a pieno titolo al grande libro della memoria di questa Città e dei suoi abitanti.

R: Sei un architetto che ha già esperienza alle spalle ma tanta curiosità ed intraprendenza: quali sono, secondo te, i limiti della professione oggi in Italia?

EC : I limiti io li intravedo nella burocrazia che attanaglia e, in molti casi, avvilisce il progetto di architettura, avvolgendolo in una morsa di norme e regole che ne accompagnano il processo evolutivo fino a privarlo quasi completamente della sua natura principale. Vitruvio sosteneva che il senso dell’architettura fosse la costruzione, invece, sfidandolo, Boullèe evidenziava come Vitruvio avesse torto, poiché in questa affermazione egli scambiava causa ed effetto; il fine dell’architettura non è la costruzione, l’architettura  è poesia, deve provocare delle risonanze poetiche, deve suscitare in noi dei sentimenti, delle sensazioni che dipendono dalle caratteristiche della sua anima. Non è solo forma delle “utilitas”, ma ha un compito che trascende da tutto questo, è una poesia che si rivolge a tutti, ha un carattere universale, comprensibile a tutti.

R: Ridisegnare spazi urbani a misura d’uomo, che possano essere luoghi accoglienti, vivibili e “green”: potresti indicarci le nuove tendenze dell’architettura in questo senso?

EC: Prima di parlare di città “verdi” occorre partire dagli edifici  che rappresentano il centro nevralgico anche nella gestione dell’energia, che si traduce in comfort abitativo, efficienza energetica, rispetto ambientale.

Occorre lavorare ancora molto per integrare l’edificio con il resto del sistema. Ed è un aspetto cruciale, come lo è il fatto che nel futuro l’interdisciplinarietà nel building sarà sempre più protagonista. Tuttavia penso che la riflessione intorno alla città e all’architettura debba esprimere considerazioni che, pur contemplando tali aspetti quali ingredienti di un inevitabile processo di trasformazione, non perdano di vista una visione più generale dell’idea di progetto. ​

Un progetto di architettura è, per definizione, un’azione strategica che si pone un obbiettivo concreto, la realizzazione fisica di un’idea. È dunque all’idea che spetta il primato all’interno del processo creativo, in quanto atto originario, che ispira, e finale, che prende forma attraverso un manufatto che la evoca.  Il corretto funzionamento di un luogo costruito, oggi, in virtù delle tecnologie e dei materiali disponibili, è sempre garantito, potendo raggiungere gradi di efficienza di valore assoluto, mentre non possiamo dire altrettanto del comfort emozionale, per il quale, al contrario, siamo in grado di fare ben poco per surrogare la scarsa sensibilità di un architetto.

Il comfort emozionale è frutto di un complesso portato di relazioni che l’architettura instaura con gli elementi naturali e, se in un contesto urbanizzato, anche con gli elementi del paesaggio artificiale, oltre che con la luce, con i colori, con la geometria, e con la storia e la memoria dei luoghi, scavando nella sensibilità, si spera, del suo autore.

R: Quanto ti è stato utile partecipare ad un Laboratorio di immaginazione urbana come quello promosso a Barletta?

EC:  Come ho scritto in risposta ad un post di ringraziamento dei curatori dell’evento, è stato una “botta di vita” dal momento che mi ha consentito di incontrare il pensiero creativo di molti illustri colleghi dei quali seguo l’opera condividendone in molti casi anche la filosofia e poi perché mi sento orgoglioso ed onorato di aver potuto offrire un contributo alla causa dell’architettura.

Un’architettura reale o solo sognata per me non fa nessuna differenza, perché sono convinto che la storia completa dell’architettura debba includere sia l’ambiente costruito che quello non realizzato.

Biografia

 

Enzo Ceglie vive e lavora a Cerignola (Fg), dove è nato nel 1968. Nel ‘94 si laurea in Architettura alla ETSAB  di Barcelona. Dalla  fondazione del suo  studio,  avvenuta nel  ‘97,  instaura  diverse  collaborazioni  per  la  progettazione  di  edifici  pubblici  e  privati,  spazi  urbani  ed  interni  residenziali,  partecipando  a numerosi  concorsi  d’architettura.   Per  la  sua  attività  è  stato  insignito  di  diversi riconoscimenti, tra cui la  menzione speciale al Concorso internazionale “Sedie nel Parco” (Torino, 2002), il primo premio al   Concorso   “Virgilio   under   35”    ed   il   secondo   premio   al   Concorso   internazionale   “Design   &  Tradizione”   (Potenza,   2004).   Nel   2009   è   stato   selezionato   tra   gli   architetti   di   Capitanata  per  la

“V  Giornata del  Contemporaneo”  e  premiato  con  la  menzione  speciale.  Nel  2011,  dopo  aver  sciolto  le  collaborazioni    in    essere,    fonda    Ecaprogetti, lo   studio   professionale in cui opera tutt’ora. Ha partecipato, di recente, con la “Casa dei quadrati”,  alla fase finale della rassegna “Architetture dell’Adriatico”.