Salento: Licantropi e Diavoli nel mirino degli amanti del brivido.

Salento: Licantropi e Diavoli nel mirino degli amanti del brivido.

21 Giugno 2019 0 Di Vincenzo Barnabà

In questi ultimi periodi si nota nella gente un certo interesse verso le storie di cronaca nera e soprattutto verso situazioni che appartengono al mondo dell’occulto. Queste storie stimolando la fantasia e tenendo alta la tensione, incuriosiscono e affascinano persone di tutte le età. Nell’immaginario collettivo i lupi mannari hanno fatto sempre paura e di storie che hanno loro protagonisti se ne raccontano a centinaia.

È natu nu’ stregone alla casa mia

“Licantropo” deriva da Licaone, re dell’Arcadia, padre di cinquanta figli, tra cui Peucezio. Quest’ultimo venuto in Italia, diede il nome al territorio pugliese, da lui chiamato appunto Peucezia. Secondo la leggenda, Licaone venne trasformato in lupo per aver sacrificato empiamente a Zeus uno dei suoi figli.E si dice che egli proprio in Puglia, perduta l’originaria identità, abbia assunto le due nature, una bestiale, l’altra umana. Oggi sappiamo che la licantropia è una malattia della sfera psicopatologica, assimilabile all’isteria.

Tuttavia in passato, questa malattia era considerata «il morbo del diavolo».
Infatti per leggenda, si credeva che i nati tra il 24 e il 25 dicembre ereditassero la doppia natura, perché nella notte di Natale non si ammetteva che potessero nascere altre creature oltre Cristo.

E siccome di licantropia si ammalavano solo gli uomini, coloro che nella fatidica notte diventavano padri di un maschietto dovevano esorcizzare il neonato. Nel Leccese, il padre dello sventurato bambino a mezzanotte saliva sul tetto e gridava: «È natu nu’ stregone alla casa mia» («È nato uno stregone in casa mia»} e così il vento avrebbe portato via ciò che era stato gridato. In altre zone vi erano rituali più cruenti: per tre notti di seguito il padre lambiva con un tizzone i piedi del neonato, tracciando segni di croce, oppure passava il bimbo davanti ad un forno acceso in modo che fosse irradiato dal calore e dalla luce. Di licantropia si poteva guarire, con mezzi magici naturalmente. Il modo più efficace era quello di ferire alla fronte il lupo mannaro durante la crisi poiché si credeva che con il sangue infetto sarebbero usciti anche gli spiriti maligni.

Insomma, al di là della leggenda, resta il fatto che la terra di Puglia non finisce mai di stupire. Gli amanti del brivido troveranno in questa regione molti stimoli per intraprendere nuove affascinanti avventure, fosse anche solo con la fantasia.

La tenebrosa costruzione

La leggenda, riguarda tutto il campanile perché è così armonioso ed aggraziato che il suo popolo ritenne impossibile fosse stata realizzata dall’uomo. In realtà, il campanile fu realizzato dall’architetto pugliese Francesco Colaci. Ma era un uomo qualunque, così il popolo preferì attribuire l’opera a un proprio concittadino, Matteo Tufari. I Soletani non scelsero proprio lui solo perché era di Soleto, ma perché era un uomo culturalmente affermato da meritarsi la fama di mago.

Tutto questo si è svolto nella seconda metà del XIV secolo. Il Tafuri si era laureato all’Università della Sorbona a Parigi. Oltre che letterato, era filosofo poeta, teologo, medico, matematico, botanico, e astrologo. In quest’ultimo campo aveva scritto il libro “De misteriis naturae”, i cui argomenti erano la magia, i sogni e le predizioni. Soprattutto per questi ultimi egli si meritò la fama di mago. Si raccontava che tenesse rinchiusi in boccette i diavoli che lo aiutavano nelle sue ricerche.

L’incantesimo più grosso del Tafuri fu, secondo la fantasia popolare, la costruzione del campanile di Soleto. A questo proposito si narra che il mago decise di costruire il monumento in una notte di tempesta. Evocato dalle tenebre un esercito di streghe, di demoni e di altri spiriti infernali, egli ordinò loro di erigere un monumentale campanile.

“Badate bene” gli ammonì Matteo Tafuri “dovete compierlo prima che sorga l’alba; non solo, ma dovrà essere un’opera mirabile, un lavoro così fine e prezioso da stupire il mondo intero”. Subito la diabolica schiera si mise a lavorare al lume delle torce e per ore ed ore fu un andirivieni incessante per l’aria. Rauchi richiami, urla, sghignazzate, fischi e da strepiti echeggiavano confusamente nella notte.

Tutto quel casino, come stabilito, cessò d’incanto al sorgere del sole. Ma se diavoli e streghe furono pronti a scomparire allo spuntare del giorno, non altrettanto svelti furono alcuni demonietti loro aiutanti. Furono infatti colti di sorpresa dalla luce del sole, in cima al campanile, sui quattro angoli. Invano tentarono di scappare.

Ormai il sortilegio era cessato, e così essi dovettero restarsene lassù, trasformati in pietra. Oggi completano, con le loro figure, la decorazione del campanile.