
“Che fai, mangi?”, il libro di Titti Pece: “Non è il solito libro di ricette, e vi spiego perché”
5 Marzo 2021Originaria di Cerignola (Fg), l’autrice Titti Pece vive a Lecce da tantissimo tempo. E’ quindi ormai una “salentina acquisita”, anche se nei suoi scritti c’è sempre spazio per tutta la Puglia, di cui esplora con grande maestria non solo l’aspetto gastronomico e le tradizioni culinarie, ma anche i luoghi e le storie che rendono questa terra semplicemente speciale.
Il suo ultimo libro si intitola “Che fai, mangi?”: leggendolo si ha l’impressione di “viaggiare” nei luoghi di Puglia con uno sguardo diverso, attento ai dettagli anche artistici di una delle regioni più belle d’Italia.
Abbiamo chiesto a Titti Pece di parlarci di questo libro che è davvero riduttivo definire un volume di ricette.
R: A prima vista sembrerebbe che c’è davvero tanto in questo libro: ricette, storia, comicità, emozione, belle illustrazioni. Insomma, tutti gli “ingredienti” per essere molto di più di un volume di ricette o di promozione del territorio. Può essere considerato a tutti gli effetti un libro d’arte?
TP: Certo questo libro spiazza un po’ le categorie in cui siamo abituati a classificare i libri. È chiaro che non è il solito libro di cucina. E lo si vede dalla scelta delle ricette (provenienti da vari tempi e da vari luoghi), per la scrittura o stile del narrare (con personaggi veri o immaginati e storie e scene dense di divertita ironia) e per le immagini che illustrano le pagine, che per la prima volta in un libro di ricette non rappresentano né cibi né piatti.
Quindi a vedere e a leggere questo libro alcune domande vengono fuori spontanee: è un libro di cucina o un libro d’arte? O anche: è un libro di racconti o piuttosto un piccolo manuale di cucina sentimentale, oppure è una simpatica antologia di ricette?
Forse questo mio piccolo libro è un po’ tutte queste cose insieme. Voglio dire che ognuno lo leggerà e ne godrà da un suo personale punto di vista, per costruirsi alla fine una sua personale mappa emozionale per la quale il libro fornisce gli strumenti, come se ricette e racconti potessero funzionare da ‘cassetta degli attrezzi’ per la nostra cucina sentimentale.
La lettura rimane divertente e spiazzante: un modo per portare il discorso del cibo fuori e lontano dall’ossessivo incantesimo bulimico a cui è ‘costretto’ oggi. Anche a questo servono queste immagini, inedite per un libro di ricette. Che poi è anche un modo per dire che il cibo è qualcosa di più del cibo stesso, che non si ferma solo al palato. Ed è anche qualcosa di più ‘profondo’ di un percorso esperienziale per turisti.
Il cibo infatti ci fa ‘masticare’ senso e significati; è esso stesso conduttore e anche creatore di ‘significati’. La scelta delle illustrazioni d’autore e del design grafico è coerente con questo intento.
R: Un libro di “cucina sentimentale”, una mappa emozionale di ricette che riesce a raggiungere il cuore dei lettori: c’è anche tanto amore per la Puglia e per le sue tradizioni. Il ballo, in particolare. Come mai questa scelta?
TP: Dopo le ricette raccolte sotto il titolo “Le gastrocomiche”, all’inizio della seconda parte del libro il lettore troverà una citazione da Alain Ducasse, pluristellato, tra i più grandi chef dei nostri tempi. In sintesi Ducasse ci dice che non basta un gesto e non basta usare i suoi prodotti per fare una cucina mediterranea. Bisogna assimilare la cultura annessa ed entrare così nello spirito di questa cucina, che sta tutto nella sua tradizione matriarcale.
Per indagare questo ‘spirito’, questa ‘cultura annessa’, sono partita dalle parole usate in cucina e ho posato uno sguardo ‘antropologico’ sulle ricette. Da qui prende nome la mia ricerca: la cucina della taranta, cucina sentimentale dal Salento e dalla Puglia. Dove la taranta non indica propriamente il ‘ballo’ oggi così di moda, ma un modo di essere del ‘femminile’ nei Paesi del Sud.
R: Il Salento è una terra ricca di storia, tradizioni ed eccellenze gastronomiche, ma anche la Capitanata (la zona della Puglia in cui Lei è nata) lo è. È riuscita a trovare similitudini e differenze tra queste due zone della regione, in base alla sua esperienza?
TP: Il Salento è il luogo storico, antropologico e della memoria da cui guardo le cucine e attraverso le cucine osservo il ‘femminile’ che ne costruisce la natura culturale, lo ‘spirito’ di cui diceva Ducasse. È inevitabile che il mio sguardo si allarghi alla Puglia e alla Capitanata, da dove parte e dove anche ritorna la mia ‘cucina sentimentale’. Da qui vengono al mio libro almeno tre ricette bellissime e qui si chiudono le pagine: con alcuni ricordi d’infanzia e la mia personale mappa emozionale.
R: Quanto conta secondo lei l’ironia nella scrittura?
TP: L’ironia è una capacità intellettuale da non confondere con le ‘battute’. È una risorsa da non sprecare. L’ironia non serve per ridere, ma per ‘pensare’. Per una serie di motivi che non sto qui a elencare, l’ironia è forse il linguaggio dei nostri tempi (di grandi crisi ma anche di grandi cambiamenti) su cui posiamo, alleggerendone in apparenza il peso, le nostre inquietudini e le nostre domande. E poi ‘ridere’ e ‘sorridere’ fa bene: nutre l’anima
R: Oggi parlare di ricette e cucina è diventato un “must”. Ma farlo in modo originale per fare la differenza non è sempre facile. Ad esempio, raccontare quello che c’è dietro una ricetta è ciò che fa sentire le persone più vicine alla propria terra. Lei cosa pensa al riguardo?
TP: Una delle domande da cui è nato questo libro è “che fine faranno e chi sta uccidendo le nostre cucine di tradizione”. Perché nonostante se ne parli tanto queste cucine di fatto stanno morendo. La cucina casalinga, nei pochi casi in cui sopravvive, ha ormai un altro ‘stile’ e un altro ‘palato’: segue le mode, non è tramandata, ma solo ‘mediata’. E le mode non mettono ‘radici’, per loro stessa natura cambiano di continuo. La moda segue le diete, segue le novità che propone il mercato. E in questo ‘paesaggio bulimico’ del cibo/merce, in cui tutti divorano tutto, la cucina di tradizione è solo una di queste mode, non è più la cucina della memoria e del quotidiano.
Rimangono i turisti: ma per loro basta cucinare nelle osterie i soliti 10 piatti tipici. Sempre i soliti. Inoltre la cucina di tradizione è messa alle strette anche dalla eccessiva e a volte inutile ‘creatività’ dei tanti che non si considerano più cuochi, ma artisti. Credo che per le cucine di tradizione rimangano poche nicchie e queste vanno coltivate. Perciò bisogna raccontare senza la solita retorica, con consapevolezza storica e con sguardo nuovo e contemporaneo.
Tenendo comunque presente che le tradizioni tradiscono per loro stessa natura perché non sono mai identiche. Infatti si evolvono, nel momento stesso in cui tra/ducono, cioè tras/portano, ovvero spostano il passato nel presente. È questo ‘movimento’ che costruisce la memoria e, nel tempo, fissa gli archetipi. Ed è questo, questa ‘necessità, quel che noi chiamiamo ‘amore per la nostra terra’. Un amore che non separa, ma unisce i popoli.
“Che fai, mangi?”, edito da Moscara Associati, è disponibile sugli store online e su https://www.chefaimangi.it
Cenni sull’autrice Titti Pece
Storica dell’arte e appassionata studiosa di storie di cucine e gastronomia, Titti Pece scrive di arte, di luoghi e viaggi. È organizzatrice di eventi culturali, già ideatrice e direttrice del QuoquoMuseo del Gusto, oggi museo virtuale: www.quoquo.it. Con le edizioni Moscara Associati ha pubblicato “Quoquo. La gola come ipertesto. Del sapore e di alcuni itinerari di gusto nel Salento leccese” (2005), “Quoquo. Come le api al miele. Passeggiate e percorsi del Gusto dall’occhio al palato”, “Di che pasta siamo fatti qui. Cavalieri si nasce”, libro di ricette dedicato alla pasta Benedetto Cavalieri (2014), “Da Otranto a Porto Badisco. Passeggiate dalla natura alla memoria” (1997). Ha curato cataloghi e mostre per istituzioni pubbliche e private e allestimenti museali. Nel 2007 ha ideato e curato la mostra “Le stanze del gusto” per il Castello di Acaya (Provincia di Lecce). Ha curato mostre su Beni Culturali Enogastronomici presso il Museo provinciale Castromediano di Lecce. Oggi dirige la Casa Museo Moscara e l’Archivio d’artista ‘Giancarlo Moscara’. È titolare e project manager dello studio Moscara Associati – Progetti d’autore, Immagine, Cultura e Marketing. Scrive sul blog ‘La Cucina della Taranta’.