Irene Gianeselli, scrittrice pugliese al Premio Campiello Giovani: “Dobbiamo tornare ad appassionarci”

Irene Gianeselli, scrittrice pugliese al Premio Campiello Giovani: “Dobbiamo tornare ad appassionarci”

28 Marzo 2019 0 Di Cristiana Lenoci

Cosa significa scrivere e fare cultura in Italia, in particolare al Sud? Vi proponiamo con grande piacere il “ritratto” di una giovane scrittrice esperta in critica cinematografica, Irene Gianeselli, finalista tra i partecipanti del Premio Campiello Giovani, prestigioso premio letterario nazionale. Con sguardo disincantato, ma con altrettanta passione Irene ha “disegnato “lo scenario culturale dei giovani d’oggi e non solo.

In Italia ci sono più scrittori che lettori: secondo te il mercato editoriale è in crisi oppure ci sono spiragli di luce grazie proprio ai più giovani (lettori e scrittori)?

La risposta a questa domanda viene da altre domande. Cosa intendiamo con “scrittori” oggi? Che cosa pensa un nostro contemporaneo, cosa vede e chi incontra quando gli proponiamo l’immagine – o il personaggio, come a volte si dice – dello “scrittore”? Perché se scrittore è colui (o colei) che scrive, allora sì, è vero, quelli che scrivono sono troppi rispetto a quelli che leggono. Ma se lo “scrittore” coincide con l’intellettuale allora forse, lì fuori, ci sono lettori in cerca d’autore, sperse anime che esplorano i cocci di questo presente sperando di toccare tra le macerie la carne viva di qualcuno che abbia avuto il coraggio e la tenerezza di mettere le proprie mani nel fuoco del nostro tempo. In cerca di qualcuno che abbia avuto anche il coraggio di trarle dal fuoco, poi, quelle mani. Il  mercato è in crisi stando alle statistiche, ma questo è un problema degli editori. Gli scrittori/intellettuali non dovrebbero, credo, pensare al sistema produttivo e al mercato. Credo dovrebbero invece farsi ambasciatori, messaggeri della cultura; dovrebbero insistere molto sull’importanza della lettura e dello studio appassionato e multidisciplinare. Perché il mercato è mercato: se produci merce, venderai merce. Ecco altre domande: Joyce produsse merce? Lo fece Leopardi? Lo fecero Caproni o Rebora?  Proust? È questo che uno scrittore dovrebbe essere, per me: un intellettuale ed una persona, una “creatura” che crede nella realtà e  nel  mistero.  Non un “personaggio”  che  appare sulla copertina di  un libro  che magari  non ha  nemmeno  scritto. L’oggetto libro è sacro, questo senso di sacralità, di profondo rispetto per la carne che si fa parola e per la parola che si fa carne è in crisi, ma proprio perché è una esperienza, non è vendibile, non produce utilità. Chiudono le librerie perché chiude lo spazio che custodisce il mistero: chiudono anche i teatri, i cinema. Si chiudono, inevitabilmente, anche le menti, i cuori. Tra i miei contemporanei ci sono anche io, anche io cerco intellettuali, anche io cerco mani che hanno penetrato   le   fiamme   del   presente   perché   voglio   tenerle   tra   le   mie   e   capire,   conoscere.   Un’altra   domanda:   cosa intendiamo per “lettore”? Oggi le piattaforme della fruizione culturale sono cambiate, c’è molta dispersione e poca consapevolezza, vedo in tutti, coetanei e non, una fatica alla concentrazione. Stare con un libro tra le mani ci costringe ad una dimensione fisica che ci proietta in noi stessi e nel mondo, ma problematicamente: siamo soli con un testo scritto da qualcuno che non può risponderci, ma che ci affida la possibilità dell’incomprensione e della comprensione allo stesso tempo. Questo non può accadere con un social o con lo schermo di un computer. Perché per quanto ci arrivino risposte da altri profili, non stiamo toccando dei fogli vivi, carta che ingiallisce e si lascia mangiare dalle muffe o custodire   in   una   libreria.   Stiamo   interagendo   in   una   dimensione   virtuale   che   ci   proporrà   sempre   una   risposta. Sgradevole, volgare, accondiscendente, piacevole. Ma mai profondamente problematica. Non è solo dei giovani, è di tutti gli operatori culturali il compito arduo, rivoluzionario, di tornare alla carne e al sangue, al mistero. I lettori devono chiedere di più, gli scrittori devono dare di più e non semplicemente darsi. Chi è abile si lascia possedere, ma chi è poco aggraziato nasconde grazia nel passo incerto e nella sintassi interrotta di una coscienza che continuamente cerca e ricerca e pensa ciò che agisce e vive.

Cosa significa essere un critico cinematografico così giovane? Quali sono i film che hanno segnato la tua vita sino ad ora? Cosa ne pensi del cinema indipendente?

È una grande responsabilità ed un onore. Fare parte del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici significa sapere che la mia ricerca è riconosciuta da altri professionisti. In un momento storico come il nostro, fare critica è quasi un atto rivoluzionario e di resistenza e da soli, da soli mai si può preservare e custodire, fare ricerca. Viviamo in un’epoca in cui si ragiona sempre più partendo da “mi piace” o “non mi piace” o da “io avrei, io direi, io farei”. Critica significa analisi, e l’analisi non è un processo che si può sviluppare con coerenza nell’immediatezza di un like. Ci vuole tempo, bisogna costruire dopo avere de-costruito e il dibattito è fondamentale. Il nostro gruppo pugliese è intitolato al decano Vito Attolini scomparso un anno fa. Partecipare alle proiezioni dei film che amava ed introdurle al pubblico della Mediateca Regionale Pugliese è stato per me profondamente commovente, ritengo vitale l’incontro e il confronto con i maestri e con la memoria. Mi hanno segnato alcuni film in particolare e i loro rispettivi autori: L’invenzione di Morel  di Emidio Greco,  Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, Fantasma d’amore  di Dino Risi e C’eravamo tanto amati  di Ettore Scola,  Lezioni di piano di Jane Campion. Veramente folgorante è stato vedere allo scorso Bif&st la versione restaurata e in lingua originale di “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci che ho incontrato da lontano in quella occasione e ne conservo un ricordo davvero speciale, di un grandissimo privilegio. Poi c’è Tarkovskij, c’è la Nouvelle Vague… il cinema indipendente lo guardo agitarsi, palpita, ha coraggio, inciampa e si rialza, esplora, spesso precipita malamente in se stesso, altre volte riesce ad andare oltre.

Teatro, letteratura, musica: la tua vita è ricca di stimoli culturali. Pensi che i social e la tecnologia possa invece distogliere i giovani dal dedicarsi a questo tipo di interessi?

​Riguardo i social continuo ad imparare, ma scopro sempre qualche meccanismo che ignoravo. Continua a spaventarmi l’idea che chiunque possa partecipare della tua vita, umiliarti e giudicarti, studiarti anche, nascosto dietro una tastiera, senza davvero vivere e condividere il qui e ora con te. Senza conoscerti. Temo, in questi mesi, di avere scoperto che i social  non siano usati malamente solo dai giovani. Vedo molti adulti, maturi, perdersi, agire come in un universo parallelo deresponsabilizzato. Eppure, dietro quei profili, ci siamo sempre noi: persone che incontrano virtualmente altre persone. Siamo sempre noi stessi, non l’immagine che speriamo di dare o di costruire per un pubblico scelto. Siamo sempre noi. Come sempre, tutto parte e finisce e continua nelle persone. Se le persone usano con intelligenza,cultura, responsabilità etica e civile, il mezzo non può offendere. Detto questo, io sono sempre più felice se incontro gli altri in carne ed ossa, se posso parlare ad un volto e a degli occhi che mi guardano e che posso guardare senza chiedere ad uno schermo di filtrare ciò che penso o che provo. Il nostro è un tempo di vigliacchi che vanno in guerra restando sul divano, che camminano per strada senza distogliere gli occhi dal tablet e perdendo adesione con la realtà. Beati i disertori.

Cosa ti aspetti dal prestigioso Premio Campiello Giovani?

Il Premio Campiello ha già significato molto per me. La prima volta che ho deciso di partecipare al concorso avevo quindici anni e il mio primo racconto, Lo spazio intorno, ha dato il titolo alla mia prima raccolta. Maddalena vuole fare il pane  si è unito a  Preghiera di novembre nella mia seconda raccolta. Il Premio Campiello mi ha permesso di incontrare altri giovani, di confrontarmi, di incontrare i primi lettori e editori. È fondamentale confrontarsi, ascoltare e leggersi attraverso gli altri. Ecco, quando qualcun altro mi legge, imparo a leggermi e a riconoscermi. Il Campiello ha il grande merito di ascoltare la voce dei giovani, di incoraggiarli e di accoglierli. Sono tre gesti profondamente significativi nel nostro presente. Un Premio per i giovani dimostra che c’è ancora qualcuno disposto a dire “Chiedi, chiedi e chiedi di incontrare ed essere incontrato”. Solo se si chiede si può sperare in una risposta. E tra tante risposte poi bisogna scegliere e distinguere.

Educare i giovani alla lettura e alla cultura: che ruolo gioca il sistema scolastico in tutto ciò?

Ecco una istituzione veramente in crisi. La scuola è cambiata e ancora non abbiamo capito davvero come. Vedo docenti e alunni su una nave che va, felliniana. Li vedo soli, vasi poco comunicanti. Studiare ha a che fare con l’appassionarsi. Vedo poca passione. Credo però che in tutta Italia ci siano insegnati appassionati, pronti a costruire con e per i propri alunni percorsi di formazione validi didatticamente e umanamente. Perché parliamo sempre di persone: persone sono gli alunni, persone sono i professori. Sistema scolastico significa tutto e niente, purtroppo. I Maestri bisogna cercarli dentro e fuori dall’aula. Se continueremo a rinnegare la cultura dell’ascolto e del dialogo, del rispetto reciproco e della libertà di appassionarsi, allora sì, saremo perduti. Del resto “Solo l’amare, solo il conoscere/ conta, non l’aver amato, / non l’aver conosciuto”.

Cosa   diresti   ad   un   giovane   che   voglia   pubblicare   un   libro   con   lo   strumento   del   self-publishing?   Lo   ritieni efficace?

Non ho mai utilizzato il self-publishing, le mie pubblicazioni sono “arrivate” quando è stato giusto che arrivassero. Non ho mai scritto, né scrivo pensando alla pubblicazione in sé.

Pubblicare un libro affidandosi all’editor giusto: che consigli daresti al riguardo ad uno sprovveduto scrittore?

In questo caso, non credo di essere in grado di rispondere perché non ho un editor. Ho sempre proposto storie concluse, le due raccolte di racconti sono nate come progetti definiti che avevo strutturato mentre ci  lavoravo. Vivo la mia esperienza di scrittrice in solitudine, cercando sempre di essere con e tra gli altri.